In due righe
In questo articolo nego che la tripartizione positivo-negativo-neutro sia valida per classificare e interpretare la voce del web, e propongo una tripartizione alternativa.
LA VOCE DEL WEB
Con "voce del web" si
intende tutto quello che si trova nel web a proposito di qualcuno, di
un'azienda, di un prodotto, di un partito e così via. Tutto significa tutto, ma
in questo tutto c'è un elemento nuovo che fa la differenza rispetto a una
tradizionale rassegna stampa (eventualmente arricchita dagli articoli dei blog,
almeno dei migliori): i contenuti dei social network, cioè i commenti dei navigatori
e le loro discussioni.
La voce del web è divenuta via via
sempre più interessante. La ascoltano i giornalisti, i politici, le imprese. Niente
di male, anzi. L'interesse è dovuto anche alla rilevanza del fenomeno, cioè
all'enorme quantità di informazioni che la voce del web possiede. La quantità
richiede di essere razionalizzata, in modo che sia interpretabile e
sintetizzabile.
UNA TRIPARTIZIONE ALLA MODA
La voce del web ha già una sua
classificazione. Si tratta di una classificazione tripartita, in voga in tutto
il mondo e credo non concepita e sviluppata in Italia, che suddivide la voce
del web in commenti positivi, neutri o negativi.
Che qualcosa che riguarda la
comunicazione possa essere classificato "neutro" lo nego decisamente.
In comunicazione la neutralità è esclusa, direi addirittura per definizione, e
dunque non ha senso discutere della neutralità. Eppure, vedo, anzi leggo,
persino su testate importanti, che a essere neutra è spesso addirittura la
maggioranza delle voci del web. Evidentemente, dietro l'etichetta di neutralità
confluiscono cose che chi analizza non riesce a far confluire negli altri due
parametri, il positivo e il negativo.
Occupiamoci allora del positivo e del
negativo. Cercherò di cavarci tutto il bene possibile. Per farlo, credo che sia
utile aggregare intorno alle formule sintetiche di 'positivo' e 'negativo'
qualche altro valore più analitico: assenso/dissenso, consenso/obiezione,
identificazione/distinzione, conferma/smentita, approvazione/disapprovazione,
adesione/contrasto, plauso/protesta/insulto, suggerimento/correzione.
L'elenco potrebbe continuare. Ma già
da questo elenco è del tutto evidente che la sinteticità di 'positivo' e
'negativo' può andar bene solo a chi abbia bisogno di rendersi conto molto alla
grossa di quel che si dice in rete, senza sottilizzare, specificare, capire. E
nemmeno di sapere se non vi siano altre funzioni realizzate nei messaggi.
La
polarità positivo-negativo assomiglia più a un conto che a un contenuto e
sembra dotata di una ratio più informatica che informativa. Se io dicessi che
il 3 è verde, un matematico avrebbe qualche obiezione. Bene, a chi mi dice che
la comunicazione può essere interpretata in termini di positività, negatività e
neutralità, io oppongo la mia obiezione. I fenomeni devono essere spiegati iuxta propria principia.
Mi pare importante ribadire che la
tripartizione di cui stiamo discutendo sia nata a proposito della voce del web
e non in tempi nei quali la voce del web non esisteva, perché non esisteva il
web. Ma a nessuno nei tremila anni precedenti è venuto in mente di classificare
i testi in quel modo. Le classificazioni che sono state adottate per i testi
pre-web o non-web hanno una giustificazione nella natura di quei testi: un
testo giornalistico è diverso da un testo poetico che è diverso da un testo di
legge e così via. Ed è sensato applicare a questi testi la tripartizione?
Fino a qualche anno fa, di questa
tripartizione non c'era traccia. Mi pare dunque del tutto evidente che sia nata
proprio per tenere conto della voce del web, in particolare quei testi che non
rientrano nelle categorie tradizionali, come appunto i commenti nei social
network, nei forum e via digitando. Bene, ma allora dobbiamo
interrogarci su quali siano le caratteristiche di questi commenti, tali per cui
non possono rientrare nelle classificazioni tradizionali esistenti. Le
caratteristiche che non rientrano nelle classificazioni tradizionali mi pare
che siano le seguenti:
- gli autori di questi testi non sono quasi mai professionisti della comunicazione scritta (non sono scrittori, giornalisti, saggisti);
- questi testi sono quasi sempre commenti a uno stimolo (un articolo, un commento, un pensiero in Facebook), cioè non sono testi in se stessi autonomi (se fossero estrapolati, non significherebbero nulla);
- questi testi sono pubblicati grazie a tecnologie che rendono possibile una specie di conversazione tra tutti coloro che pubblicano il loro commento.
Quest'ultimo mi pare il dato
decisivo. Le piattaforme di pubblicazione, come quelle dei blog e di Facebook
(per non dire di quella più vecchiotta dei forum), sono progettate appunto per
favorire lo scambio, anche immediato. La dinamica, ben nota, è: post iniziale,
commenti al post iniziale, eventuali commenti a un commento. Questa dinamica
favorisce e in un certo senso addirittura esige che le modalità della scrittura
si adeguino alle modalità della conversazione. Se mi si passa per un momento
l'approssimazione, è come se il parlato divenisse scritto o, meglio, lo scritto
assumesse caratteristiche tali per cui è inutile analizzarlo con i normali
strumenti sintattici e semantici con i quali analizziamo i testi scritti
tradizionali.
Da questo ragionamento appare chiaro
che la tripartizione positivo-negativo-neutro nasce per dare una ratio a testi
che: a) non rientrano nelle classificazioni tradizionali; b) non sono
interpretabili con gli strumenti linguistici con i quali analizziamo i testi
scritti.
Se questo è il problema, non è
quella tripartizione però che lo risolve.
LA CONVERSAZIONE SCRITTA
Il problema di interpretare un testo
scritto che si realizza in una dinamica conversativa deve essere affrontato e
possibilmente risolto con strumenti rispettosi della natura del fenomeno. Posso
dare un contributo e sperare che sia sviluppato.
All'origine della conversazione non
stanno le parole, bensì sta la relazione che si instaura tra gli interlocutori.
Le parole vengono dopo, e la verbalizzazione è contemporanea al pensiero, che è
reattivo rispetto alle modalità e allo sviluppo dell'interazione. Questa è la
ragione per cui il discorso parlato è così diverso da quello scritto. Ma quando
la conversazione è scritta, che cosa succede? Cambia qualcosa? Sì, cambia che
la verbalizzazione è scritta. Ma non cambia che derivi, come quella parlata,
dalla dinamica conversativa.
Ecco perché quasi al termine di
alcune analisi che sto conducendo con Ida Tucci, abbiamo definito questo tipo
di scrittura la "conversazione scritta". Nel corso di queste analisi,
è emerso chiaramente che il criterio fondamentale per interpretare la conversazione
scritta è la categoria pragmatica dell'illocuzione.
John Austin, negli anni '50 del
secolo scorso, analizzò gli enunciati e distinse: a) la locuzione, cioè il
valore secondo grammatica e significato; b) l'illocuzione, cioè l'intenzione
comunicativa; c) la perlocuzione, cioè l'effetto. Per esempio, se A, che si
trova in una camera fredda, dice a B "La finestra!", vuole intendere
che B chiuda la finestra, non certo informarlo che in quella stanza esiste una
finestra. In altri termini, per intendere la conversazione scritta è necessario
trasferirci da una analisi diciamo grammaticale a un'analisi pragmatica del
contesto, delle illocuzioni (intenzioni comunicative) e degli strumenti che le
realizzano.
Il fatto è che le illocuzioni sono
parecchie e sono state variamente classificate dagli studiosi che se ne sono
occupati. Senza entrare nel merito, è validissima comunque l'esperienza
personale per capire che le illocuzioni non sono riducibili alla coppia
sintetica positivo-negativo né alle sue estensioni, delle quali ho fornito un
elenco. Qualche esempio: una domanda, una richiesta, un desiderio, una
spiegazione, una citazione, un'ipotesi, un'imprecazione. Potrei proseguire, ma
è sufficiente per dimostrare che, posto che niente è neutro, non tutto, anzi
poco o quasi nulla, rientra nel positivo e nel negativo.
L'illocuzione realizza l'intenzione
di chi comunica. Questa intenzione deriva direttamente dalla dinamica
relazionale e si esprime verbalmente in modo coerente con l'intenzione, anche
nello scritto. L'analisi sintattica e semantica di questo tipo di scritto è
possibile e sensata ma solo come supporto all'analisi pragmatica
dell'illocuzione, cioè dell'intenzione.
Per classificare il materiale della
conversazione scritta che si trova nel web dobbiamo dunque stabilire delle
categorie che sintetizzino le intenzioni. Abbiamo già introdotto l'illocuzione,
ma dobbiamo anche riferirci ad altro. Infatti, se l'illocuzione è lo scopo che
io mi prefiggo quando comunico, a questo scopo corrisponde un atteggiamento con
il quale io mi predispongo alla comunicazione, e questo atteggiamento deve
essere non solo coerente con l'illocuzione e ne deve amplificare l'efficacia.
La disciplina che ha preso più profondamente in considerazione gli
atteggiamenti è la retorica dell'argomentazione. Dunque, incrociando la
pragmatica con l'argomentazione (e semplificando e generalizzando), la nostra
proposta è che la conversazione scritta sia classificabile sulla base di tre
atteggiamenti che i partecipanti possono avere:
- accettazione;
- dubbio;
- pregiudizio.
Nelle indagini che stiamo
conducendo, appaiono molte cose interessanti:
- al primo atteggiamento corrispondono tendenzialmente contenuti di scarso rilievo conversativo e circoscritti all'esperienza personale;
- al secondo atteggiamento corrispondono più spesso i contenuti più rilevanti, perché aspirano a essere costruttivi;
- al terzo atteggiamento corrispondono contenuti molto prevedibili, perché sono tutti riferibili a confermare l'atteggiamento.
Naturalmente, tutti i commenti
dipendono dal post iniziale, o dall'articolo che li ha stimolati. In altri
termini, non è sensato considerare ogni singolo post se non in diretto
riferimento al post iniziale e, successivamente, all'andamento della
conversazione. Comporre un buon post iniziale è dunque la chiave per ottenere
una discussione pertinente, educata, costruttiva, propositiva. Mi sto facendo
l'idea che lo scarso contributo di idee che emerge dalle conversazioni on line
sia in gran parte dovuto alla scarsa qualità conversativa dei post che
innescano la conversazione. Troppo spesso tali post calcolano male i
presupposti, sono imprecisi nelle premesse, impostano incoerentemente la
relazione IO-TU, sono ambigui sullo scopo della conversazione. Tali errori,
anche quando sono dovuti a imperizia e non a deliberata ambiguità, generano nei
partecipanti il sospetto dell'ipocrisia, e fanno fallire gli scopi della
conversazione.
***
Articoli correlati
Il dibattito politico in Facebook: Anna Finocchiaro
Il dibattito politico in Facebook: Maurizio Gasparri
Il dibattito politico in Facebook: Felice Belisario
Il dibattito politico in Facebook: Roberto Formigoni
Il dibattito politico in Facebook: Roberto Cota
Il dibattito politico in Facebook: Nichi Vendola
Il dibattito politico in Facebook: Pierferdinando Casini