mercoledì 27 giugno 2012

Le tecnologie dell'io (2)

In un articolo precedente, ho ragionato sull'opportunità per tutti noi di sfruttare semplici tecnologie per pubblicare e condividere le nostre buone o cattive idee.

L'opportunità è certamente una cosa positiva, soprattutto se la sfruttiamo senza troppe attese, cioè senza avere, oltre allo scopo di partecipare alla discussione, molti altri obiettivi. Quali potrebbero essere? Per esempio, farsi notare come buoni giornalisti, pensatori, professionisti, politici, artisti ecc. ecc.


Qualche caso c'è di qualche sconosciuto emancipatosi dall'anonimato grazie a quel che ha pubblicato da sé. Innegabile. E altrettanto innegabile è la legittimità del desiderio o della speranza di riuscirci anche noi. Tuttavia, bisogna sapere che accade di rado e che, invece, accade molto più spesso un'altra cosa, a cui si pensa di meno.

Quando noi, con le nostre brave ambizioni e dotati di tutte le migliori intenzioni, pubblichiamo qualcosa, questo qualcosa esiste, cioè risiede in un qualche server e viene letto o potrebbe essere letto anche da altri che non i visitatori del nostro blog o dai fan della nostra pagina Facebook o dai nostri amici facebookiani.

Sollecitati dal nostro impulso di dire o di rispondere a qualcuno mettendo in circolo il nostro pensiero, noi diamo informazioni che potrebbero avere un certo valore anche per coloro ai quali non erano destinate, e che pure le leggono.

Per esempio, le pagine Facebook dei partiti o dei leader politici, oppure quelle delle imprese, generano spesso un bel dibattito, con tanti facebookiani che intervengono, discutono, litigano, propongono, si insultano. Ognuno, in cuor suo, potrebbe anche essere mosso dalla migliore intenzione di migliorare il mondo, ma...

Credo che sia capitato a pochissimi di aver cambiato il mondo con le loro parole scritte, e ancora meno sono quelli che con le loro parole l'hanno migliorato. Ed è successo in altre epoche, nelle quali pochissimi ben selezionati potevano pubblicare il loro pensiero. In epoche più recenti, nemmeno quando l'autore del libro ha avuto il potere di realizzare il suo pensiero quel pensiero si è realizzato. Un caso recente e ben noto è quello di - aiutami a dirlo - Giulio Tremonti, autore di furbissimi libretti pre-elettorali, buoni a farlo eleggere, ma constata tu quante di quelle idee ha poi messo in atto e con quali risultati (non so se rallegrarmi per i risultati che ha fallito o disperarmi per quelli che ha ottenuto).

Ciò per dire che la pur legittima ambizione a mettere in circolo le nostre migliori idee deve essere comparata con i risultati che potrà ottenere. Modesti, suggerirei. Ma soprattutto la metterei in relazione con i risultati che ottengono chi ci mette a disposizione le tecnologie dell'io (a questo proposito sono già state dette molte cose) e chi ci invita a discutere di un tema che interessa a lui. Al nostro desiderio di dire corrisponde un desiderio di sapere quello che abbiamo da dire, quasi mai un desiderio di discuterlo. Sulle tecnologie dell'io, che sembrano fatte apposta per discutere, non si discute quasi mai. Dunque, che fine fanno le nostre migliori idee? Che fine fa la nostra speranza che il nostro io sconosciuto diventi, grazie a una discussione (che è il meccanismo grazie al quale le tecnologie dell'io valorizzano un'idea), un io utile, noto, importante, divertente e quello che volete?

Moderate la speranza, voi ch'entrate nelle tecnologie dell'io. Piuttosto, sarebbe meglio occuparci del nostro io e riflettere se sia più profondo il desiderio di discutere o quello di dire. Sull'argomento, però, non ho niente da dire, se non a me stesso, e non lo scrivo, almeno per ora.

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