martedì 3 luglio 2012

Dante e l'Unione Europea

Si potrebbe forse dire, semplificando un tantino, che l'idea che noi abbiamo di noi stessi sia un'idea post-risorgimentale.
L'anno scorso abbiamo per l'appunto celebrato i 150 anni di unità nazionale. Altri stati ci sono arrivati prima, altri dopo, ma tutti secondo un movimento che ha origini lontanissime, nel Quattro-Cinquecento. Questo lungo e sanguinoso processo di disaggregazioni e aggregazioni si è concluso con lo smembramento della Jugoslavia. Pur se persistono in molti paesi, tra cui il nostro, tendenze locali di autonomia dallo stato nazionale, il quadro è abbastanza stabilizzato, soprattutto grazie all'Unione Europea. Esserne membri significa varcare un punto di non ritorno, o di difficilissimo ritorno.

Tuttavia, e non lo dico certo io, il problema evidentissimo dell'Unione Europea è proprio quello di una maggiore integrazione tra gli stati membri. Si parla di politica, e va bene, ma si parla molto meno di cultura, e va molto meno bene. Religione, lingua, tradizioni culturali, abitudini, clima ecc. sono grandezze irriducibili, almeno nel medio periodo. Livellare l'Europa su tali aspetti è un progetto attualmente insensato (la Gran Bretagna, per fare un esempio banalissimo, non adotta le unità di misura non dico europee ma mondiali), per quanto non sia affatto insensato riflettere per dare a questi aspetti una prospettiva utile. Tuttavia, restano altre questioni diciamo culturali che possono essere orientate in una prospettiva diversa da quella attuale e dunque in una prospettiva utile.

Una prospettiva utile potrebbe essere la seguente: se ora è la forza (culturale) degli stati nazionali a costituire la debolezza dell'Unione Europa, come trasformare la forza degli stati nella forza dell'Unione? Vorrei fare un esempio forse un pochino paradossale. L'attuale prospettiva è tale per cui ai campionati del mondo di calcio ogni stato europeo partecipa con la sua squadra (e la Gran Bretagna con tre). Che cosa ci manca affinché possiamo tutti accettare, non dico tranquillamente ma insomma con una certa soddisfazione, l'idea che l'Europa partecipi al campionato del mondo con una sola squadra, come accade per gli USA e come accadeva per l'URSS?

Siamo sensibili al calcio forse più che ad altro, e dunque: che cosa ci manca per accettare un allenatore poniamo portoghese, un portiere italiano, due centrali tedeschi, due laterali spagnoli, un regista francese e così via fino alle undici riserve poniamo tutte italiane? Che cosa ci manca per tifare questa squadra e riconoscerci in essa? Avanti: che cosa ci manca?

Come in molte altre circostanze, un aiutino a rispondere ce lo dà Dante Alighieri, il quale, meglio se lo ricordo, visse in un'epoca precedente a quella nella quale l'idea di stato nazionale nacque e si sviluppò. Dante, dunque, individuò nella lingua italiana (volgare) la lingua per eccellenza della letteratura e in particolare della poesia illustre e della canzone. Questa lingua non avrebbe dovuto restare rinchiusa entro i confini di una città, ma essere aulica, cioè riferirsi all'aula, allo spazio nel quale l'Imperatore raccoglie gli uomini di governo, delle scienze e delle arti. L'aula mancava all'Italia di allora, e dunque era compito della lingua letteraria farsi accettare dove c'era l'aula. Non era semplice, perché la lingua letteraria in italiano era appena nata, perché il suo fondatore, Dante, era esule, e dunque, per l'insieme di queste due circostanze, era una lingua senza appoggi. Ma era una lingua libera, e poteva imporsi per le sue qualità.

In altri termini, Dante appoggiava l'universalismo imperiale come il sistema che avrebbe permesso la composizione dei conflitti locali e forniva il contributo che un poeta-intellettuale-politico come lui poteva con competenza mettere a disposizione: la lingua letteraria e più in generale la cultura.

Non è una metafora, è molto di più l'esempio di Dante, che non potrà certo essere accusato di indifferenza quanto ai conflitti locali. Dante ci offre la chiave per un ragionamento oggi a posteriori degli stati nazionali (per lui era un a priori): individuare il potere che compone i conflitti locali e mettere al suo servizio ciò che di tipico ogni località ha. Allora come oggi, il vertice è tedesco.

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