Quando noi troviamo nella storia, e ne troviamo
troppo spesso, fatti atroci dell'uomo contra l'uomo, e per movente di quei
fatti troviamo una opinione pregiudicata, una ignoranza, una stortura degli
intelletti; se ci fermiamo a questa osservazione, nasce in noi una indegnazione
piena di tristezza, di scoraggiamento, e direi d'impazienza.
Ci par di vedere
la natura umana spinta invincibilmente al male dalla debolezza della sua
intelligenza, ci par di vederla dominata da cagioni indipendenti dal suo
volere, e come legata in un sogno perverso e affannoso da cui ella non ha alcun
mezzo per riscuotersi, del quale nè pure può farsi accorta da sè. Noi proviamo
per quegli uomini atroci per errore una indegnazione che pure non ci sembra
ragionevole, una pietà senza benevolenza, parliamo delle immanità loro più
tosto con un orrore istintivo che con un biasimo motivato.
Ma quando nel guardare più attentamente a quei
fatti, noi scopriamo in essi una ingiustizia che doveva esser sentita da quegli
che la commettevano, infrazioni alle regole ammesse anche da loro, azioni
volontarie opposte ai lumi che essi in altre occasioni mostrarono d'avere,
allora, pur deplorando la perversità di quegli uomini, si prova una specie di
conforto nel pensiero ch'ella era volontaria, che potevano rigettarla, che era
l'effetto d'una loro scelta, e non d'una necessità comune. Si vede che
l'ignoranza o la falsa scienza dalla quale talvolta un uomo o una generazione è
impossibilitata a francarsi, questa ignoranza invincibile e innocente potè ben
essere una occasione, un motivo, una tentazione per commettere il male, come
ogni cosa può esserlo; ma che la cagione immediata, la cagione che lo ha
operato fu quell'altra ignoranza morale che non è una scusa, ma una colpa,
quella ignoranza che l'uomo assume e perde a sua voglia, l'ignoranza ch'egli ha
d'una cosa quando ella è un dovere, e che non ha più quando la stessa cosa è un
diritto per lui; quella ignoranza nella quale può cadere, e cade pur troppo,
l'uomo delle età più scienziate, e dalla quale può liberarsi l'uomo delle più
rozze.
Gli uomini retti, e gli iniqui sono sovente preoccupati
dagli stessi errori; ma nel modo e negli effetti vi è questa importantissima
diversità. L'uomo retto quando opera in conseguenza d'un pregiudizio, ha però
sempre viva l'idea di alcuni doveri precisi, imprescrittibili, non crede che
possa darsi alcuna buona ragione per trasgredirli; e quando il pregiudizio lo
ha condotto presso ad una azione proibita; egli s'arresta. In molti casi egli è
assai più vicino al disinganno, perchè la verità si scopre più facilmente a chi
la cerca con sincerità di cuore. E quand'anche l'errore involontario duri nella
sua mente, le conseguenze colpevoli e funeste di quello sono o impedite, o
frenate, o limitate dai retti principj. V'ha degli uomini miserabilmente
incocciati in idee storte di teoria, o di fatto, le quali pare che dovrebbero
portarli ad ogni eccesso di licenza, o ad ogni furore di tirannica
persecuzione; e quegli stessi uomini ridotti all'azione, si vedono produrre
atti e parole d'ordine, di tranquillità, di cauta e delicata misericordia. È
una felice inconseguenza che nasce dalla resistenza d'un cuor pio ad una mente
pregiudicata; o a parlare con più di precisione, è il predominio di alcune idee
giuste e sante sur alcune altre erronee, cui le prime non distruggono, ma
rendono inoperose. Ma l'uomo non retto, quando ha ricevuto l'errore, si fa
dell'errore una passione, un idolo che egli ama con affetto superbo, a cui
tutto sagrifica: la sua coscienza è bugiarda; ma se pure ella alza nel cuor suo
una voce sincera ad ammonirlo, egli la soffoca, le oppone dei principi contra i
quali egli darebbe in esclamazioni, che troverebbe frivoli e indegni, se altri
volesse farli valere contro di lui. Talvolta così operando egli affermerà,
crederà anche di far bene. Ma questo appunto è uno dei principali rami della
perversità, che non è stata mai, ch'io sappia, ben meditata, e che importerebbe
assai di ben meditare. (A. Manzoni)