mercoledì 7 marzo 2012

Buon compleanno, don Lisander!


Quando noi troviamo nella storia, e ne troviamo troppo spesso, fatti atroci dell'uomo contra l'uomo, e per movente di quei fatti troviamo una opinione pregiudicata, una ignoranza, una stortura degli intelletti; se ci fermiamo a questa osservazione, nasce in noi una indegnazione piena di tristezza, di scoraggiamento, e direi d'impazienza.
Ci par di vedere la natura umana spinta invincibilmente al male dalla debolezza della sua intelligenza, ci par di vederla dominata da cagioni indipendenti dal suo volere, e come legata in un sogno perverso e affannoso da cui ella non ha alcun mezzo per riscuotersi, del quale nè pure può farsi accorta da sè. Noi proviamo per quegli uomini atroci per errore una indegnazione che pure non ci sembra ragionevole, una pietà senza benevolenza, parliamo delle immanità loro più tosto con un orrore istintivo che con un biasimo motivato.

Ma quando nel guardare più attentamente a quei fatti, noi scopriamo in essi una ingiustizia che doveva esser sentita da quegli che la commettevano, infrazioni alle regole ammesse anche da loro, azioni volontarie opposte ai lumi che essi in altre occasioni mostrarono d'avere, allora, pur deplorando la perversità di quegli uomini, si prova una specie di conforto nel pensiero ch'ella era volontaria, che potevano rigettarla, che era l'effetto d'una loro scelta, e non d'una necessità comune. Si vede che l'ignoranza o la falsa scienza dalla quale talvolta un uomo o una generazione è impossibilitata a francarsi, questa ignoranza invincibile e innocente potè ben essere una occasione, un motivo, una tentazione per commettere il male, come ogni cosa può esserlo; ma che la cagione immediata, la cagione che lo ha operato fu quell'altra ignoranza morale che non è una scusa, ma una colpa, quella ignoranza che l'uomo assume e perde a sua voglia, l'ignoranza ch'egli ha d'una cosa quando ella è un dovere, e che non ha più quando la stessa cosa è un diritto per lui; quella ignoranza nella quale può cadere, e cade pur troppo, l'uomo delle età più scienziate, e dalla quale può liberarsi l'uomo delle più rozze.

Gli uomini retti, e gli iniqui sono sovente preoccupati dagli stessi errori; ma nel modo e negli effetti vi è questa importantissima diversità. L'uomo retto quando opera in conseguenza d'un pregiudizio, ha però sempre viva l'idea di alcuni doveri precisi, imprescrittibili, non crede che possa darsi alcuna buona ragione per trasgredirli; e quando il pregiudizio lo ha condotto presso ad una azione proibita; egli s'arresta. In molti casi egli è assai più vicino al disinganno, perchè la verità si scopre più facilmente a chi la cerca con sincerità di cuore. E quand'anche l'errore involontario duri nella sua mente, le conseguenze colpevoli e funeste di quello sono o impedite, o frenate, o limitate dai retti principj. V'ha degli uomini miserabilmente incocciati in idee storte di teoria, o di fatto, le quali pare che dovrebbero portarli ad ogni eccesso di licenza, o ad ogni furore di tirannica persecuzione; e quegli stessi uomini ridotti all'azione, si vedono produrre atti e parole d'ordine, di tranquillità, di cauta e delicata misericordia. È una felice inconseguenza che nasce dalla resistenza d'un cuor pio ad una mente pregiudicata; o a parlare con più di precisione, è il predominio di alcune idee giuste e sante sur alcune altre erronee, cui le prime non distruggono, ma rendono inoperose. Ma l'uomo non retto, quando ha ricevuto l'errore, si fa dell'errore una passione, un idolo che egli ama con affetto superbo, a cui tutto sagrifica: la sua coscienza è bugiarda; ma se pure ella alza nel cuor suo una voce sincera ad ammonirlo, egli la soffoca, le oppone dei principi contra i quali egli darebbe in esclamazioni, che troverebbe frivoli e indegni, se altri volesse farli valere contro di lui. Talvolta così operando egli affermerà, crederà anche di far bene. Ma questo appunto è uno dei principali rami della perversità, che non è stata mai, ch'io sappia, ben meditata, e che importerebbe assai di ben meditare. (A. Manzoni)