In due righe
Un esercizio sullo stile argomentativo di Berlusconi e Tremonti alla luce della rivelazione di Monti che nelle casse dello Stato non c'era denaro per più di tre mesi. L'articolo mostra (o dimostra) che non è lecito sacrificare all'argomentazione i valori fondamentali.
Un esercizio sullo stile argomentativo di Berlusconi e Tremonti alla luce della rivelazione di Monti che nelle casse dello Stato non c'era denaro per più di tre mesi. L'articolo mostra (o dimostra) che non è lecito sacrificare all'argomentazione i valori fondamentali.
Premesse
Nel giugno scorso, Silvio Berlusconi sosteneva ancora di
voler abbassare le tasse e Giulio Tremonti, che non era d'accordo su questo,
sosteneva da parte sua che i conti pubblici erano a posto ('in sicurezza', si
dice, con le cinture di).
Nel giro di pochi giorni, si è visto che avevano torto
entrambi. Ma da pochi giorni, Mario Monti ha affermato che nel giorno in cui è
divenuto Presidente del Consiglio si è reso conto che nelle casse dello Stato
c'era denaro solo per tre mesi.
Se ammettiamo che siano vere queste cose (facciamo finta che
sia vero, dice ora Celentano), e in particolare che sia vero ciò che dice Mario
Monti (anche a volerlo dubitare, il vostro scriba non ha la possibilità di
dimostrare alcunché), possiamo condurre un'analisi dell'argomentazione di
Berlusconi e Tremonti.
Il presupposto
nell'argomentazione
Chiunque di noi, quando parla, compie più o meno
intuitivamente una selezione di ciò che deve dire e tace di alcune altre cose,
cioè le lascia implicite. Una delle categorie dell'implicito è il presupposto.
Se il destinatario non analizza il presupposto e lo dà per scontato, lo accetta
come verità. Il gran talento di chi argomenta è di far accettare al destinatario
il presupposto senza che si accorga di averlo accettato. A questo punto, chi
argomenta ottiene che si discuta di ciò che dice, cioè dell'esplicito. Chiunque
discuta l'esplicito, anche negandolo, non discute il presupposto, che rimane
sempre valido, perché non viene (quasi) mai intaccato dall'opinione che si può
avere a proposito dell'esplicito.
Un esempio. Poniamo il caso dei genitori che negano al
figlio il permesso di rientrare dopo mezzanotte. Una delle argomentazioni a cui
possono ricorrere è: "Ma come? Con tutte le libertà che ti diamo, vuoi anche
questa?". Se il figlio dà per scontato il presupposto, insisterà
sostenendo, per esempio, che i suoi compagni di classe possono già rientrare
dopo mezzanotte. Ma in questo modo, il figlio resta imprigionato dal
presupposto e perde la partita. Il presupposto è che sono i genitori a
concedere la libertà, cioè, risalendo di presupposto in presupposto, che la
libertà può essere solamente concessa.
Quando Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti hanno sostenuto
quello che hanno sostenuto, hanno fatto passare il presupposto che nelle casse
dello Stato ci fossero i quattrini sufficienti a ridurre il carico fiscale e a
rendere sufficiente la manovra (la prima, ovviamente). Noi pedoni abbiamo
dunque dato per scontato che il nostro paese non si trovava sull'orlo del
fallimento. Potevamo mettere in discussione il presupposto, e certamente
qualcuno l'avrà fatto, ma ci vogliono particolari competenze e informazioni
forse riservate. Il pedone accetta il presupposto e discute piuttosto le
conseguenze, cioè opina se è giusto/sbagliato ridurre il carico fiscale
eccetera.
In altri termini, quando i decisori indicano determinate
circostanze come certe e determinate prospettive come possibili, ebbene queste
persone danno, anche a coloro che non gli credono o che non credono fattibili i
loro proclami, la garanzia che lo stato delle finanze sia tale da consentire
l'enunciazione di tali circostanze e di tali prospettive. Ripeto: per quanto
poco affidabile, un decisore che tematizza la riduzione delle tasse e la
sicurezza dei conti dà per scontato che le condizioni del paese non siano
quelle delle bancarotta.
Un inganno non
difficile
Varrà anche la pena di notare che il pedone italico è già di suo
inclinato a fidarsi poco o nulla del decisore e a deriderlo non appena può
farlo impunemente. E che il sistema dell'informazione, che asseconda in tutti i modi di cui è capace questo sentimento, sembra fatto apposta per dare al pedone italico l'idea o la certezza che non gli manchi davvero proprio niente nella vita. Se ricordate, nel giugno scorso, i messaggeri erano in gran parte ben determinati a controllare quotidianamente le lenzuola di Berlusconi e gli
accampamenti romani del pavesino Tremonti e a riferircene con un tale
scandaglio delle fonti e di analisi dei dettagli da farci rimpiangere, ora,
che non si siano accorti, allora, che esisteva qualche argomento – come dire? –
di maggior momento.
Nessun olio medicamentoso come quello leniva l'insofferenza del pedone al solo sentir parlare dei principi, nulla di più utile a confermare agli occhi dei pedoni la scarsa l'affidabilità e
persino la dignità dei decisori.
Proprio agendo su questa sfiducia dei pedoni, i
principi, giocando a buco mio buco tuo con i messaggeri, ottengono di tenere i pedoni lontani non dico
dalla verità, ma dal sospetto della verità.
In altri termini, dal momento che
io principe Silvio so che tu pedone Giovanni pensi che io sia il peggior
politico della storia repubblicana e so che tu non credi affatto nella qualità
dei miei progetti, bene, niente di più facile che farti spolmonare perfino in
piazza contro uno qualsiasi dei miei provvedimenti, e niente di più inutile per
te che spolmonarti, perché, spolmonandoti tu contro il provvedimento, il
presupposto resta ben al sicuro. E se anche ci fosse qualcuno che lo mette a
tema, cioè che lo discute, ci saranno sempre tanti altri, in particolare i miei nemici, che gli daranno
dell'astratto, del visionario, e diffideranno di lui come di un cattivo
compagno di strada, come di uno di quelli che, quando il gioco si fa duro,
quando si deve scendere in piazza, bene, lui el tira indree el cuu.
Il valore
fondamentale
Far passare questo presupposto ai pedoni, e forse anche a
molti specialisti, è stato dunque facile facilissimo, perché i pedoni, per
quanto potessero essere avversi al governo di Silvio Berlusconi e di Giulio
Tremonti, li riconoscevano quali Presidente del Consiglio e Ministro
dell'Economia, cioè li riconoscevano per quella che era la loro funzione di
capitani della barca, e riconoscono per definizione ai capitani una sostanziale
buona fede in base alla quale i capitani non dirigono deliberatamente la barca
contro gli scogli.
Veniamo ora a sapere da Mario Monti che quella sostanziale
buona fede, cioè il rispetto del presupposto su un valore fondamentale, non era
vera, cioè che Berlusconi e Tremonti hanno sacrificato alla loro argomentazione
un valore sacro.
Non hanno ottenuto alcuno dei loro scopi, però. Infatti,
Tremonti e Berlusconi hanno non solo perduto la partita nella quale si erano
impegnati (le tasse non sono state diminuite e la manovra non è bastata), non
solo hanno perduto via via la credibilità internazionale e la maggioranza in
Parlamento, ma, alla luce delle dichiarazioni di Monti (sempre ammesso
che siano vere), hanno perduto la faccia.
Ma la faccia di Berlusconi e di Tremonti non è (più) un
problema (se lo è, lo è per loro). Il nostro problema è la faccia di chi da
oggi in avanti li sostituisce e li sostituirà. Noi cittadini italiani siamo
troppo convinti che per valutare la faccia basti vedere se e come sorride.