domenica 11 dicembre 2011

La questione della rappresentanza

La carcassa vuota dei partiti

Da qui alle prossime elezioni non sarebbe male che noi pedoni affrontassimo, e già che ci siamo, a muso duro e con chiarezza la questione della rappresentanza.

Infatti, nel momento in cui i principi, votando la manovra, firmeranno l'autocertificazione del fallimento della loro politica nell'ultimo decennio, firmeranno anche la risoluzione del contratto con i loro elettori.


Un solo esempio. Appare solo ora che si può recuperare l'evasione fiscale in fretta e facilmente, e mettervi deterrenti seri. Ci voleva un genio del fisco? Un genio della politica? No: ci voleva qualcuno che lo voleva. Come risponderanno su questo i principi?

I partiti, ovviamente, mascherano il problema della rappresentanza, tematizzandolo su un piano più basso, quello della ricerca di nuovi equilibri con vecchi e nuovi alleati. Tuttavia, sia i partiti che voteranno a favore della manovra, sia gli altri, potranno ancora, alleanze o non alleanze, contare sul loro elettorato e sperare di attrarre gli elettori che non li avevano votati?

Potranno proporre programmi credibili?

Potranno ripresentare gli stessi principi, gli stessi alfieri, gli stessi araldi?

Potranno con qualche efficacia scaricare su altri (l'Europa, la Cina... il Vietnam) le loro responsabilità? compresa quella di aver fatto scendere lo standing internazionale del nostro paese al di sotto di quello miserrimo che aveva alla fine della Seconda Guerra Mondiale (ma almeno De Gasperi ebbe la faccia di chiedere prima perdono e poi soldi)?

In una parola: potranno riciclarsi?


Politica di primo prezzo

Potranno, eccome se potranno.

Potranno eccome, finché saremo in molti noi pedoni a pensare, come diceva il principe Ingrao, che è meglio avere torto all'interno del partito che ragione fuori di esso.

Potranno eccome, finché saremo in molti a essere disposti, come diceva il messaggero Montanelli Indro, a votare turandoci il naso.

Potranno eccome, finché saremo in molti a continuare a baloccarci dicendo che la politica è tutto nu magna magna.

Potranno eccome, finché saremo in molti a sperare che la crisi che potrebbe porre fine al migliore dei mondi possibili passerà da sola, che il geniaccio italiano sopravviverà, adattandosi, come sempre.

Più o meno da quando ho imparato a leggere, leggo che l'Italia ha bisogno di riforme strutturali, che il debito è troppo alto, che la pubblica amministrazione consuma più risorse del necessario ecc. ecc. In tutto questo tempo non ho mai visto una sola opportunità per trasformare questi (che alla prova dei fatti sono stati solo dei) piagnistei in un progetto concreto, serio, con tante belle date a cui corrispondono risultati da raggiungere, con i costi e i ritorni dell'investimento. Insomma, una cosa un pochino svizzera, quel tantinino di svizzero che ci farebbe un gran bene, senza snaturarci (con tutto il rispetto, anzi l'ammirazione per gli svizzeri).

L'opportunità dei pedoni

Oggi abbiamo questa opportunità, perché la crisi virtualmente ha azzerato la classe politica, per quanto i principi continuino a restare dove sono, a decidere e a parlare (ma meno).

Che questo scenario sia l'epilogo, la coda del sonetto, è l'opportunità. La quale presenta però un problema non da poco. I partiti, infatti, questi e altri, ci saranno sempre, perché sono la cinghia di trasmissione tra i principi e i pedoni. Per un naturale spirito di sopravvivenza, i principi non accetteranno di farsi da parte, anche perché avranno persino in buona fede la convinzione di avere ancora qualcosa da dire e da fare per il bene del paese.

Io penso invece che i principi, proprio per il bene del paese, devono farsi da parte entro le prossime elezioni e, per il bene del sistema democratico fondato sulla necessaria esistenza dei partiti, devono avviare fin da subito il processo di rinnovamento del loro partito, cioè organizzare, che so?, qualcosa come degli stati generali che dovranno rifondare la ragion d'essere stessa del loro partito.

È un'opportunità, non è un obbligo. Sta ai pedoni farsi avanti. Nessuno può aspettarsi che il principe rinunci da sé o rinunci a nominare suo erede il suo alfiere, il suo araldo, il suo cavallo.