mercoledì 20 novembre 2013

La politica, l'economia e un'idea di Manzoni

Da un po' di tempo, i politici di primo piano non partecipano più in massa ai talk show. Al massimo e a volte, i partiti mandano le seconde linee.

I talk show sono ora affollati regolarmente, a causa del disastro economico e della relativa paura della gente, soprattutto da economisti, o sé dicenti tali. I quali, alle belle (si fa per dire) bandiere dei politici, hanno sostituito i loro modelli economici e le relative ricette. In alcuni casi, li presentano pro veritate (cioè con 'neutralità' scientifica), in altri casi collegandoli più o meno direttamente alle posizioni di un partito o a una prospettiva politica.

Nel cambio politici-economisti, ci abbiamo certamente guadagnato. Siamo passati dal sentir balle al sentire lezioni. Nel merito delle quali non entro, perché non sono un economista. Dico solo che un po' di cultura economica non guasta affatto agli italiani, che non la studiano a scuola e scontano nella vita questa lacuna (peraltro, che la tv possa svolgere questo tipo di educazione, non lo credo affatto).

Tuttavia, sta passando un messaggio che non mi piace: che l'economia sia il cuore della vita politica e possa dare il senso della partecipazione alla vita di tutti, sia pure solo attraverso il voto a questo o a quel partito.

Nego che le scelte economiche siano il cuore della vita politica e nego che esse possano fornire ai cittadini la motivazione ad assumere un diverso approccio alla vita politica.

Il cittadino che non sia esperto di economia non chiede alla politica solo una politica economica credibile a rimettere la barca su una rotta sana. Quel cittadino ha ragione, a mio avviso. Non siamo italiani grazie a una politica economica giusta e non potremo rinunciare a esserlo a causa di una politica economica sbagliata.

In questo senso, ritengo che i talk show e gli economisti che li frequentano si pongono un obiettivo giusto a metà: giusto discutere di economia, sbagliato veicolare il messaggio più generale che sia l'economia il tema politico principale per il cittadino.

Infatti, se anche e paradossalmente tutti i cittadini concordassero su quella che sarebbe la ricetta economica giusta (che so, no euro, statalizzare le imprese in crisi o liberalizzare le imprese pubbliche e così via), c'è da scommettere tutto sul fatto che quella ricetta non verrebbe poi realizzata. Ci sono infatti in gioco anche altre questioni e, alla base di tutte queste questioni, ci dovrebbe essere la disponibilità dei cittadini a fare qualcosa in quella direzione, a rinunciare a qualcosa per ottenere quello scopo. In altri termini, ci vorrebbe che i cittadini condividessero un'idea di futuro e accettassero i costi per ottenere i benefici.

Questa condizione manca. Gli italiani non condividono un'idea di futuro, non hanno un forte, comune sentimento nei confronti di se stessi e del nostro destino. Questo sentimento, io lo chiamo cultura.

Quando, in un discorso politico, si parla di cultura si parla però di altro, cioè di segmenti culturali: dai beni culturali (dove infatti la cultura è un aggettivo) alla scuola, al cinema, al teatro e così via. Cioè si parla di politiche, in particolare di politiche lobbistiche, generalmente gestite da tecno-burocrati e sindacati. Con questo approccio, è persino fondata la squallida affermazione di Giulio Tremonti, che disse che "con la cultura non si mangia" (sappiamo con che cosa ha mangiato, non dico Tremonti per carità, dico la politica).

Bisogna fare un passo indietro. Come spesso mi accade, mi viene in mente Manzoni (Marzo 1821):

Una d’arme, di lingua, d’altare,
Di memorie, di sangue e di cor.

Ne seleziono tre: lingua, religione, storia. La prima, mal conosciuta e usata peggio, persino da personaggi pubblici, e usata malissimo nelle leggi e dall'apparato burocratico. La seconda, usata strumentalmente, ideologicamente. La terza, poco indagata per conoscere le radici più profonde delle nostre divisioni e contrapposizioni, ma anche per conoscere le nostre risorse più distintive: creatività, ingegno, gusto.

Il declino di questi tre valori si sintetizza nella mancanza di quello che Manzoni chiama 'cor' e che io prima chiamavo il sentimento nostro verso noi stessi e il nostro destino.

Di queste cose, nei talk show e più in generale nel dibattito politico non v'è traccia alcuna, da nessuna parte. Non fanno audience, potrà sostenere un pistolino addetto alla programmazione televisiva. Quanto ai politici, mi aspetto che dicano che sono questioni da risolvere nel tempo lungo. Pistolini anche loro, con licenza di sfasciare il paese, però.

Se non vedo male, il sentimento attuale degli italiani è di sfiducia e di rabbia nei confronti delle istituzioni e di chi le rappresenta; di preoccupazione o persino di disperazione nei confronti delle prospettive del lavoro; di rivalità e di diffidenza nei confronti degli altri stessi cittadini; di indifferenza e di supponenza nei confronti dell'immenso patrimonio latamente culturale che possediamo, compresi i talenti artistici e scientifici che esportiamo più del vino, regalando agli altri paesi la nostra qualità.

Una politica sana deve partire da lì.

Tempi lunghi? Tempi lunghi siano (ma sono stati corti questi ultimi venti anni?).

Poco share? ECSNF (= E chi se ne frega, come dice il mio amico Gianluca).

Bisognerà dire cose sgradevoli? Diciamole (forse che sono gradevoli quelle che si sentono?).

Servono competenze estranee alla politica (e alla stampa)? Embè? Che c'è di strano? Le competenze degli attuali politici le conosciamo abbastanza.

Con la cultura non si mangia? Sfido a scacchi il prossimo che lo dice. Perderò, probabilissimamente, ma almeno sapremo chi avrà detto questa aberrazione.

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