mercoledì 22 febbraio 2012

Un Regio Decreto del 1938, la RAI e il lavoro nel 2012

Il Regio Decreto  Disciplina degli abbonamenti alle radioaudizioni
Bisogna leggerlo, l'art. 1 del Regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, convertito nella legge 4 giugno 1938, n. 880:

Chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento del canone di abbonamento [...].


Dirimenti sono i due aggettivi "atti o adattabili", dunque tutti i dispositivi che sono tipicamente predisposti per la ricezione, come la televisione, e tutti i dispositivi che possono essere utilizzabili per la ricezione, come il pc collegato in rete al sito della RAI.

Non si scappa: la RAI ha il diritto di chiedere il tributo.E infatti, in un comunicato stampa RAI del 21 febbraio 2012, si legge:

La lettera inviata dalla Direzione Abbonamenti Rai si riferisce esclusivamente al canone speciale dovuto da imprese, società ed enti nel caso in cui i computer siano utilizzati come televisori (digital signage) fermo restando che il canone speciale non va corrisposto nel caso in cui tali  imprese, società ed enti abbiamo già provveduto al pagamento per il possesso di uno o più' televisori. Cio' quindi limita il campo di applicazione del tributo ad una utilizzazione molto specifica del computer rispetto a quanto previsto in altri Paesi europei per i loro broadcaster (BBC…) che nella richiesta del canone hanno inserito tra gli apparecchi atti o adattabili alla ricezione radiotelevisiva, oltre alla televisione, il possesso dei computer collegati alla Rete, i tablet e gli smartphone.

Questo comunicato conferma che le imprese che hanno pc collegati in rete devono pagare il canone speciale, a meno che non l'abbiano già pagato per una televisione.

L'art. 12 delle Preleggi
L'art. 12 delle Preleggi (le Preleggi sono del 1942, ma l'art. 12 è identico a quello del Codice Albertino del 1865 che valeva nel 1938) dice che:

Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.
Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i princìpi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato.

Mi pare del tutto evidente che nell'intenzione del legislatore del 1938 non vi potesse essere certo quella di regolare un mondo professionale che oggi, pressoché in ogni settore, funziona grazie all'uso dei pc e del collegamento in rete. Né il legislatore poteva immaginare e dunque intendere che quel futuro mondo professionale potesse entrare in questo modo nel dominio del tributo.

Il tributo è un tributo. Pagarlo non ha a che fare con la diretta utilità del servizio: ognuno di noi paga molte tasse per servizi che non utilizzerà mai. Suonano dunque ipocriti alcuni video della RAI che sottolineano l'utilità della RAI per il funzionamento delle imprese:(uno e due esempi), quasi a far passare l'idea che quello sia sì un tributo, ma anche il corrispettivo di un servizio.

Il fatto è, appunto, che la RAI non serve alla stragrande maggioranza delle imprese che hanno un pc collegato in rete. Naturalmente il mondo è vario, e vi sono anche imprese che fruiscono di servizi RAI tramite pc collegato in rete. Ora, era questa l'intenzione del legislatore del 1938?

La RAI è un'azienda o una pa?
Sta alla politica di aggiornare o meglio di ricontestualizzare la legge del 1938. Se la politica lo modifica, significa che... dipende dalla modifica. Rete Imprese Italia sta facendo pressioni (a mio parere molto sensate), e la palla è sul tavolo del Ministro Passera.

Se non lo modifica, significa che la politica è d'accordo che le imprese, che non possono certo rinunciare ai pc collegati in rete, paghino complessivamente circa un miliardo di Euro alla RAI. Non vi è dubbio che la stragrande maggioranza delle imprese considererebbe questo tributo un tributo sul lavoro, non un tributo su un aspetto del lavoro che beneficia del servizio RAI. Infatti, quante sono le imprese che senza i servizi RAI fruiti da un pc collegato in rete perderebbero qualcosa in termini di qualità del loro lavoro?

C'è poi un altro famoso aspetto: la RAI è un'azienda o una pubblica amministrazione? La contraddizione esplode oggi da un punto di vista che finora non si era posto. Quale che sia la soluzione del dilemma, vorrei dire una cosa in un orecchio alla politica: se è un'azienda, le imprese vorrebbero tanto che anche la RAI fosse messa nelle loro stesse condizioni: armi pari, concorrenza, e vai che vai bene. Se è pubblica amministrazione, sia pubblica amministrazione, e le imprese si accolleranno, come tutti i cittadini, i costi di un servizio di utilità sociale. Ma mezza azienda e mezza pubblica amministrazione, no: perché mai io impresa devo versare un tributo per favorire chi sta sul mercato solo lato incassi, e non lato spese?

La soluzione è dunque politica.


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