È successa una cosa comica e semplicissima: che i cattolici, ben
presenti in questo come in qualsiasi altro governo italiano fin dall’origine
dei tempi, sono riusciti a differenziare le unioni civili dal matrimonio. Per
farlo, non hanno trovato di meglio che far espungere dalla legge sulle unioni civili
l’obbligo della fedeltà, che presuppone, come dicevo nell’articolo precedente,
che il matrimonio si fonda sul sesso.
Dall’altra parte, gli omosessuali, che si ispirerebbero a
principi liberali per vedere riconosciuto il loro diritto a costituire una
famiglia, hanno cominciato a strepitare perché la loro unione non sarà così equiparata
al matrimonio.
Cominciamo dai cattolici. I cattolici, dal Concilio di
Trento in poi, hanno regolato il matrimonio fondandolo, come Sacramento, sulla legittimazione
del sesso esclusivamente tra uomo e donna esclusivamente in funzione procreativa,
secondo il disegno di Dio. Trattandosi la Chiesa di una diciamo associazione
privata, liberissimi.
Il problema nasce quando lo Stato italiano deve
regolamentare il matrimonio. Molti anni fa, qualcuno, venuto a sapere delle
regole tridentine e delle successive modificazioni e integrazioni, vi si
ispira, le propone, piacciono, vengono votate e approvate. Sicché, come dicevo
nel surricordato articolo, anche per lo Stato il matrimonio si contraddistingue
da qualsiasi altra aggregazione familiare per il fatto di regolamentare il
sesso tra uomo e donna e farne questione di rilevanza giuridica, tale per cui,
per esempio, l’infedeltà (= adulterio) è causa di divorzio.
Ma lo Stato
Italiano va ben oltre. Infatti, mentre la Chiesa considera solo peccatori
coloro che esercitano il sesso al di fuori dell’unica forma lecita, lo Stato
Italiano non ammette alcun concetto di famiglia che non sia sancito dal
contratto matrimoniale. Sicché, nella nostra mai abbastanza venerata
Costituzione, il nostro paese supera la Chiesa a destra (o a sinistra, fate
voi), poiché sta scritto (art. 29): “La Repubblica riconosce i diritti della
famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. Vietato ridere (poi c’è
qualcuno che si stupisce e si indigna di come gli islamici trattano le donne,
gli adulteri e gli omossessuali).
In questa parossistica situazione, viene avanti negli anni
scorsi la rivendicazione degli omosessuali relativa agli aspetti giuridici
della loro convivenza, a cui casi famosi danno voce (es. Lucio Dalla). Sicché,
per esempio, perché mai il mio compagno non potrebbe beneficiare dell’assegno
di reversibilità quando io dovessi premorire? E così via per ogni aggiornamento
legislativo che riguarda i diritti degli sposi (es. le adozioni, che comunque
non mi interessano qui).
Com’è come non è, la battaglia degli omosessuali diventa una
battaglia per i diritti civili, liberali. E via con le lagne politically
correct, del tipo “che paese incivile è l’Italia che non concede diritti
liberali ai diversamente erotici” (rivendico il copyright per “diversamente
erotici”). Tutto bene, diciamo, ma c’è un ma. Bisogna che gli
omossessuali e i liberali si accordino sull’obiettivo. Perché non è detto che gli
interessi coincidano. Un liberale vorrebbe limitare l’ingerenza dello Stato
nelle scelte private (nel sesso, come nella libertà d’impresa). Un omosessuale?
Non saprei, ma posso benissimo pensare che ci siano anche omosessuali cattolici,
come molti preti, per esempio. Diciamo che la sessualità e la filosofia e le
scelte etico-religiose non si implicano necessariamente. Ma andiamo avanti.
Accade che gli omosessuali – voglio dire i loro
rappresentanti o, come direbbero i cattolici, la loro lobby – facciano delle
loro rivendicazioni una questione di diritti liberali. Bene, per carità. Però, essere
liberali richiede una certa attenzione, altrimenti passa per liberale chiunque
dica di esserlo, anche D’Alema. Un liberale, in tema di sesso e famiglia e matrimonio
dovrebbe avere le idee chiarissime: sesso come quando con chi dove e come
voglio; famiglia: cavoli miei; matrimonio: cavoli miei e se anche mi sposo in
chiesa, chissenefrega: cavoli miei.
Ma, certamente, se un liberale sapesse dovesse analizzare
il matrimonio secondo il Codice Civile non si troverebbe rappresentato, in
quanto il matrimonio civile non ha nulla di liberale, al momento, perché ricalca, nella
sostanza, il matrimonio cattolico, sessuofobico ed escludente.
Pertanto, una battaglia congiunta tra liberali e omosessuali
avrebbe dovuto prevedere, secondo logica ma addirittura secondo buon senso, una
modifica del matrimonio civile, umiliante in se stessa persino per l’etero, in
modo da consentire agli omosessuali di vedere riconosciuto il loro diritto ad
alcune prerogative giuridiche dalle quali erano esclusi per via della loro
sessualità. La modifica principale da rivendicare sarebbe dovuta essere
quella di eliminare la discriminante sessuale quale caratteristica del
matrimonio. Levata quella, il matrimonio non sarebbe stato per nulla diverso da
una unione civile tra omosessuali.
Contro questa prospettiva, secondo logica e persino secondo
buon senso, si sarebbero dovuti muovere come un solluomo tutti i cattolici, a
salvaguardia dell’esclusività del matrimonio come fatto sessuale tra uomo e
donna eccetera.
Invece è accaduto esattamente il contrario. I cattolici
esultano per aver eliminato dalla nuova legge il riferimento all’obbligo della
fedeltà (cioè il riferimento al sesso), tale per cui la legge sulle unioni
civili è un mero contratto tra persone. E gli omosessuali protestano, come se
ora volessero che lo stato sancisse, alla cattolica, la loro sessualità come
discriminante del concetto di unione civile.
Tra cattolici e omosessuali, i secondi guadagnano quel che
volevano, sia pure a scapito della loro dignità (liberale), ma i primi perdono
tutto, perché, alla fin delle fini, l’Italia si è dotata di una legislazione
tra virgolette matrimoniale che esclude il sesso come discriminante.
Che lo volesse e sapesse o no, complimenti a Renzi. E
grazie.
Ma chissà se, dopo i complimenti, vorrà sorridere per le
conseguenze: a darci dentro tocca ora agli etero: che anche dal matrimonio
civile sia tolto l’obbligo di fedeltà e, con esso, il rimasuglio del Concilio
di Trento e il condizionamento cattolico nello stato laico. Le chiamano,
aiutami a dirlo, pari opportunità.
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