Le modifiche che il decreto Sblocca Italia ha apportato
al "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia edilizia" confermano alcuni tic del linguaggio normativo.
1. Art. 3 "Definizioni", comma 1, lett. b
"interventi di manutenzione straordinaria", le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso. Nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria destinazione d'uso".
Nonché. Quante volte utilizziamo
'nonché' nelle nostre normali comunicazioni? Personalmente, cinque o sei
volte all'anno. Come mai questa povera congiunzione ricorre 65 volte in
questo Testo Unico (come anche in tutti i testi normativi)? Il motivo è
semplice: perché viene utilizzata come sinonimo di 'e', 'e anche', 'e
inoltre'. Quest'uso non è in se stesso errato, però:
-
più che di uso, bisognerebbe parlare di abuso, di ossessiva ripetizione;
-
la ripetizione scolora la forza espressiva, che consisterebbe, appunto, nell'uso raro di un sinonimo meno prevedibile ('nonché') del termine normale (es. 'e');
-
questa ripetizione entra in conflitto con il significato più proprio di 'nonché', che marca, in un elenco, un elemento imprevedibile o che meriti di essere segnalato per la sua importanza. In una delle occorrenze del nostro comma, 'nonché' entra in conflitto con un'altra analoga marcatezza immediatamente precedente (corsivo mio): "modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare...".
Soluzione: usare 'e' nel 97% dei casi. E sottoporre il 3% dei casi residui a verifica sul dizionario.
Ricomprendere. Il significato di
'racchiudere', 'inserire in un numero' mi pare che sia altrettanto
chiaramente espresso dal semplice 'comprendere'. Nel nostro caso ("sono
ricompresi anche"), poi, c'era già un 'anche' a sgombrare ogni dubbio.
Soluzione: usare 'comprendere' nel 100% dei casi.
2. Art. 14 "Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici", comma 1bis
"Per gli interventi di ristrutturazione edilizia e di ristrutturazione urbanistica, attuati anche in aree industriali dismesse, è ammessa la richiesta di permesso di costruire anche in deroga alle destinazioni d'uso, previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesta l'interesse pubblico."
Previo. Cerchiamo anzitutto di capire
il senso, tutt'altro che chiaro, di questo comma. Infatti, se è chiaro
che la deliberazione comunale attesta l'interesse pubblico
dell'intervento, non è chiaro se la deliberazione debba avvenire in
seguito a una richiesta (sembrerebbe la soluzione migliore) oppure se
sia la richiesta che possa avvenire dopo la deliberazione che ha
attestato l'interesse pubblico per una serie di interventi, tra i quali
quello della richiesta. La confusione è aumentata anche da quell'anche
che precede "in deroga". Infatti, se la richiesta avviene NON in deroga,
è sempre necessario che il comune attesti l'interesse pubblico?
Soluzione: evitare 'previo' nel 100% dei casi e
costruire secondo l'ordine cronologico (che 'previo' consente di
rovesciare). Esempio (caso più ragionevole):
Meglio ancora:
3. Art. 15 "Efficacia temporale e decadenza del permesso di costruire", comma 2-bis
"La proroga dei termini per l'inizio e l'ultimazione dei lavori è comunque accordata qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate."Qui, di linguistico non c'è nulla di nuovo: i soliti passivi con il solito corredo di complementi indiretti (7). C'è però un inquietante "rivelatesi poi infondate". 'Poi'? Da un lato è ovvio (che una cosa si riveli infondata a posteriori), dall'altro non vorremmo che lo sia da parte della pubblica amministrazione e, a maggior ragione, dall'autorità giudiziaria. Ma c'è di più. C'era bisogno di precisarlo in una legge? Evidentemente sì, perché, evidentemente, è già successo, con il suo strascico legal-burocratico. In mancanza, che cosa succede, succederebbe, è già successo? Che qualcuno chiede i danni? Bene, ora sappia, questo qualcuno, che, in questi casi, può riprendere o concludere i lavori... senza altra burocrazia.
Soluzione: pensarci meglio prima.
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