venerdì 25 maggio 2012

Spending review: il costo evitabile degli errori di scrittura



In due righe
In questo articolo illustro come il processo di scrittura nella pubblica amministrazione sia gravato da errori che producono sprechi di tempo = denaro pubblico, e inefficienze che si riversano sia sulla pubblica amministrazione stessa sia su cittadini e imprese.

Il contesto della comunicazione
Nella mia professione di consulente di comunicazione scritta ho sempre valorizzato il fatto che di comunicazioni scritte ce ne sono troppe (il fatto è incontestabile e riscontrabile credo anche nell'esperienza privata di tutti). Tra quelle che riceviamo via mail e quelle che cerchiamo nel gurgite vasto del web, faticatamente setacciate dai motori di ricerca, ce n'è più di quelle che ci servono. Anzi, la maggior parte di esse proprio non ci serve. Ci viene recapitata, ce la troviamo lì, ma non ci serve.


L'entità dello spreco
Discriminare tra ciò che ci serve e ciò che non ci serve richiede tempo. Il tempo, quando si lavora, costa. Diciamo un euro al minuto (approssimativamente costo medio del lavoro). La pubblica amministrazione ha 3,5 milioni di dipendenti. Per ogni minuto passato a discriminare: 3,5 milioni di euro. Se i minuti sono due...

Dirà qualcuno che non è certo colpa dei dipendenti pubblici se ricevono cento e-mail al giorno e la metà di esse è inutile. Giustissimo: non è certo colpa di chi riceve se riceve troppa roba inutile ed è costretto a dedicare del tempo a discriminare. La colpa, diciamo così, è di chi invia.

Ci sono due tipi di mittenti: i colleghi, cioè interni alla stessa organizzazione, e gli interlocutori esterni. Su quelli esterni è impossibile agire, ma su quelli interni sì e se consideriamo interni tutti i dipendenti di tutte le pubbliche amministrazioni facciamo un bel passo in avanti, considerando che il traffico è intenso sia all'interno di ogni singola amministrazione sia tra amministrazioni.

In base a che cosa discriminiamo? Due sono gli elementi fondamentali: il mittente e l'oggetto. Nelle mie consulenze, do maggior rilievo all'oggetto, perché sul mittente il consulente ha poco da dire, salvo che non è detto che a un mittente importante corrisponda un messaggio importante, e viceversa. Sull'oggetto, invece, io ho molto da dire.

Una questione di Oggetto
La prima cosa che ho da dire è che tutti dico tutti gli oggetti che ho visto in questi anni (migliaia) sono semplicemente sbagliati. Sono sbagliati perché non aiutano a discriminare, sicché il destinatario è costretto a leggere il testo per capire se doveva leggerlo. Nei moltissimi casi in cui non riesce a leggere tutti i testi per capire quali doveva leggere, il destinatario finisce per leggere testi inutili e per non leggere testi utili. Il danno causato dalla lettura di un testo inutile è monetizzabile: tot minuti tot euro (attenzione: si tratta di parecchi minuti). Invece, il danno prodotto dalla non lettura di un testo utile non è monetizzabile. Il che è ancora più spaventoso.

Il fatto è che gli oggetti sono fatti secondo abitudine, secondo il buon senso, secondo il gusto, secondo il capriccio del superiore e secondo altri forse infiniti criteri, tranne che secondo l'unico criterio giusto.

Come si fa l'Oggetto
Prima di illustrare il criterio, devo dire che è stato individuato da Tommaso Raso nel 1999. La limpidezza di questo criterio mi colpì al punto che quando quasi per caso lo incontrai per la prima volta mi era già simpatico (il tempo ha confermato: è proprio simpatico). Da allora, ho sempre utilizzato questo criterio e l'ho sviluppato grazie all'esperienza che ho compiuto nei contesti professionali più diversi (pubblica amministrazione, associazioni, imprese, multinazionali).

Il criterio è semplicissimo: l'oggetto si deve costruire con le informazioni discriminanti, cioè quelle che servono a selezionare il destinatario e a definire l'argomento.

Gli oggetti composti con tale criterio vengono quasi tutti di 75-85 caratteri. Mai meno di 60, mai più di 100. 80 caratteri = una riga. Tempo di lettura: 6-8 secondi. Costo? 10 centesimi. Ridurre a 10 centesimi il costo di gestione delle informazioni è dunque possibile e produrrebbe un risparmio di 90 centesimi al minuto moltiplicato per tutti i minuti perduti da 3,5 milioni di dipendenti. Naturalmente, questo denaro continuerebbe a essere speso, ma in cambio di lavoro e dunque di efficienza, non in cambio del nulla, dato che la lettura di qualcosa di inutile produce per l'appunto il nulla.



Qualche differenza tra privato e pubblico
Nella mia attività, migliaia di persone hanno imparato in un paio d'ore a comporre oggetti giusti, ma devo aggiungere che molto più spesso i clienti privati che non quelli pubblici hanno poi sistematicamente utilizzato questo strumento per cambiare in meglio la loro comunicazione (ovviamente, l'oggetto giusto è solo uno degli strumenti che migliorano la comunicazione: una sintesi dei risultati che si possono ottenere si trova là).


Il privato si è dimostrato, nella mia esperienza, più reattivo alla sollecitazione, più pronto a cambiare, più motivato, più disciplinato, più coeso organizzativamente, e più responsabile a tramutare la formazione in comportamento.

Nel pubblico, spiace molto dirlo, le competenze delle singole persone non sono altrettanto bene coordinate dal punto di vista organizzativo, sicché migliorare la comunicazione dipende dalla volontà del singolo a cambiare abitudini, e la volontà del singolo dipende molto dalla condivisione del suo responsabile. Il quale, a volte vuole, a volte no, e ciò dipende anche dalla condivisione del suo responsabile, e così via fino al vertice (spesso politico). Ovviamente, ho fatto esperienze anche molto positive (per esempio nella Banca d'Italia e nella Regione Lombardia), ma la tendenza è chiara.

Nonostante dal 1993, grazie all'allora Ministro della Funzione pubblica Sabino Cassese, la pubblica amministrazione sia stata sollecitata a semplificare il linguaggio amministrativo, è il settore privato che ha fatti suoi quei suggerimenti con maggiori risultati. Credo che il perché sia semplice: l'efficienza è vitale. Nel privato.